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Cleto – Le fosse storiche – La Valle del Torbido – Gli uliveti e le antiche masserie.

Un luogo lontano

Veduta Castello di Cleto

Vi sono luoghi tanto vicini alle nostre dimore che bastano poche manciate di minuti per arrivarci. Talvolta però, quegli stessi luoghi sono così lontani dalle nostre menti, dai nostri occhi, dalla nostra immaginazione, da sembrare irraggiungibili.

Cleto è uno di questi. Una decina di chilometri appena lo separano dalla statale tirrenica, poco a sud di Amantea. Eppure, chi vi giunge per la prima volta prova quasi sempre un senso di incredulità: possibile che un luogo così sia stato per tanti anni vicino alla mia vita ed io non me ne sia accorto?

Residente o turista che sia, la sorpresa per chi arriva a Cleto facilmente si trasforma in sgomento, in vero e proprio “spaesamento”, se solo si comincia a girovagare nelle viuzze del centro storico o lungo le stradine interpoderali delle campagne, sulle mulattiere che salgono verso i monti o per i sentieri che scendono ai fondivalle.

È difficile per chiunque accettare il fatto che uomini e luoghi così vicini alla “modernità” del turismo balneare calabro possano vivere appartati e silenziosi, solitari e lenti, pressoché uguali a se stessi da secoli, senza che qualcuno se ne accorga, ne parli sui giornali, gli renda quell’attestazione di esistenza in vita che oggi solo i media sembrano essere abilitati ad attribuire.

Il territorio di Cleto ha la vaga forma di un parallelepipedo: un lungo lato quasi diritto a sud-est, che coincide con il basso corso del Fiume Savuto; un breve lato a sud-ovest, tra il Savuto e la Cresta del Gelso; un altro lungo lato più frastagliato a nord-ovest, che dalla Cresta del Gelso risale sino alla Timpa di Celio; un quarto ed ultimo lato a nord-est – quello più spiccatamente montano – che da Timpa di Celio tocca Cozzo della Neve, scende poco al di sotto della linea di cresta di Monte Sant’Angelo e Monte Rosario, sfiora Timpa Piatta e cala nuovamente nel fondovalle del Savuto.

L’ASSOCIAZIONE CULTURALE CLETARTE APS – C.da Passamorrone,5 – CLETO (CS) Visto il Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 06 luglio 2002, n. 137” chiede la tutela Paesaggistica dei Valloni posti ai lati dell’antico Borgo di Cleto (Pietramala):

  • Vallone Acquanova (Siccu) e Vallone S.Giovanni (Rocaso)
  • Vallone Schiavo sito a fianco del Borgo di Savuto di Cleto
  • i sentieri di fianco e sopra il Castello di Cleto

L’Associazione Culturale Cletarte APS ha svolto e svolge attività di interesse generale su specifici interventi volti alla tutela e valorizzazione del Patrimonio Culturale e del Paesaggio. Nel rispetto di tale interesse ha, tra i suoi scopi, quello di:

  • elaborare specifici progetti e/o piani di sviluppo volti all’incremento delle potenzialità culturali ed economiche del territorio comunale;
  • ideare e/o concretizzare progetti tesi a sviluppare e a promuovere l’artigianato, l’enogastronomia e le differenti realtà produttive in genere del territorio cletese; cooperando con altre Associazioni, Enti di ricerca, Università e Istituzioni pubbliche e private che perseguano finalità analoghe al fine di raggiungere gli scopi sociali prefissati.

Allo stato attuale Cleto ha subito un forte spopolamento, questo mette in grave pericolo le prospettive economiche del territorio. Il benessere economico è l’unica arma contro lo spopolamento. Bisogna evitare che si vada oltre. Le nostre risorse agroalimentari storiche, il nostro patrimonio culturale storico e archeologico ci possono fornire l’occasione per il recupero. Mettendo in comunione le poche risorse agroalimentari con alcuni locali storici del nostro patrimonio culturale si può creare una nuova forma di economia. La riqualificazione di alcuni locali e manufatti storici (fosse/silos) posti nel Castello di Cleto, possono con il loro riutilizzo sotto forma di risorsa utile alla valorizzazione di prodotti agroalimentari storici (tipo stagionatura di formaggi) nel contempo favorendo anche la difesa del patrimonio edilizio storico oggetto di degrado. Nasce così l’idea di unire due storicità il formaggio e le fosse granarie che si potrà tramutare in una speranza. Partiamo nel dare le informazioni storiche sulle antiche fosse granarie.

Le fosse storiche

Cleto - Le antiche fosse granarie

Il centro storico di Cleto, antica Petramala, è stato edificato su affioramenti di arenaria inclinati verso Sud-Ovest, è dunque probabile che il toponimo Petramala sia riferito alle caratteristiche proprie della roccia sedimentaria. In tali affioramenti troviamo numerose grotte e cavità che evidenziano la complessità del popolamento di carattere rupestre. Oltre alle grotte si registra la diffusa presenza, nelle pareti e nei ripiani rocciosi, di più o meno profonde cavità destinate alla conservazione del grano e di altre derrate alimentari, e di canalizzazioni e vasche finalizzate alla raccolta e conservazione dell’acqua. La pratica di scavare queste fosse risale al tardo medioevo e hanno rappresentato nei secoli un metodo di conservazione di derrate alimentari (granaglie, cereali, prodotti caseari) immessi al loro interno.

È difficile stabilire con certezza se in una Calabria, popolata da Longobardi, Bizantini, Latini e Musulmani, le terre di Cleto siano state abitate da genti sparse o da una popolazione residente in forma stabile. Tuttavia, il sito, che si costituisce su una rocca e sul fronte di una rupe scoscesa, ricca di grotte naturali, suggerisce una continuità di frequentazioni. Tali elementi, con ampia probabilità, hanno catalizzato una nuova primavera cletese in epoca bizantina. Con La nascita dei Temi - A metà del VII secolo l’esercito bizantino venne rivoluzionato. Infatti con la riforma dei temi, che tradizionalmente viene attribuita a Eraclio (610-641) ma che Treadgold attribuisce a Costante II. Ai soldati (stratioti) vennero affidati in cambio del loro servizio militare dei lotti ereditari di terra, per garantire il loro sostentamento; in questo gli stratioti ricordano i limitanei; anche questi ultimi ricevevano delle terre come ricompensa per il loro servigio (Antonio Carile - Università di Bologna “Il sistema dei themata nell’impero romano d’oriente- SECC. VII-XI).

Con la cosiddetta “Legge agraria”. La piccola e media proprietà fondiaria è organizzata in circoscrizioni fiscali denominate chorìa/chorion, cioè un villaggio in piena regola. L’economia del Chorion si reggeva sulla agricoltura e un ruolo essenziale era svolto dalla produzione del grano. In un quadro storico molto frammentato ma molto vitale hanno vita nuovi insediamenti, connessi a loro volta con gli insediamenti monastici, designati con i termini di chorìa e castra: il chorion (comune fiscale) era un insediamento sorto nei pressi di un monastero che metteva a disposizione le sue terre a contadini liberi per permetterne la coltivazione, riconosciuto dal Catepanato come di proprietà del monastero stesso; il kastron, che richiama all’insediamento fortificato, è invece un insediamento nei pressi di un castello, che ne costituisce un bastione di prima difesa. Le necessità difensive erano rese necessarie dalle incursioni saracene. Nasce così il Kastron, Villaggio fortificato. Il Kastron, in questo caso di Petramala, veniva costruito su un blocco di arenaria asciutta e ben difesa su tre lati, al suo interno trovano spazio le abitazioni dei stratioti e le scorte di grano conservate nelle fosse. Questa convivenza garantiva riparo e protezione, gli stratioti che lo abitavano erano, nella eventuale necessità, pronti ad intervenire in difesa del territorio e delle scorte di grano in esso contenute.

Cleto - Le antiche fosse granarie

In pratica con l’arrivo dei Bizantini verrà introdotta l’esperienza del mondo cappadocico, anch’esso ricco di granaglie, bisognose di conservazione: e poiché in Cappadocia esistevano da tempo molte grotte, sia naturali sia artificiali scavate facilmente nella roccia friabile, si usava conservare le granaglie in grandi fosse e grotte sotterranee (Varrone – Rerum Rusticarum De Agri Cultura – Liber I-57 “Quidam ,granaria habent sub terris speluncas, quas vocant sirus, ut in Cappadocia ac Thracia; alii, ut in agro Carthaginiensi et Oscensi in Hispania citeriore”), tale usanza fu adottata anche dai Bizantini in Puglia e Calabria. A quei tempi Cleto/Petramala, poteva essere un Kastron bizantino, una fortezza su cui, successivamente, si svilupperà l’incastellamento medioevale. Il centro, infatti, era interessato da un’efficace gestione agricola del territorio, incentrata essenzialmente sulla produzione cerealicola e documentata dalla presenza di unità abitative rupestri (grotte, cisterne, silos e residui di un percorso viario in pietra); testimonianze sparse dappertutto, tanto da far dire agli studiosi che il territorio di Cleto rappresentava, allora, “un immenso granaio”. Non a caso, di silos e cisterne per la conservazione di materie prime e prodotti agroalimentari, è ricco lo stesso castello. Indagini eseguite all’interno dell’edificio sembrano confermare la frequentazione del sito in epoca bizantina e che il manufatto è edificato in fasi diverse. Le strutture seguono, quindi, le condizioni topografiche del terreno a dimostrare la millenaria influenza, il condizionamento e l’adattamento dell’uomo all’elemento roccioso.

Le fosse scavate nell’arenaria preservavano il grano da possibili furti e ne garantivano la conservazione nel tempo. Il grano veniva posto in fosse asciutte, riempite a metà, e ben chiuse in modo da isolarlo dall’ambiente esterno. Il grano, così ermeticamente chiuso all’interno della fossa, innescava un processo fermentativo dove l’anidride carbonica che si formava, una volta consumato tutto l’ossigeno, impediva la sopravvivenza degli insetti. L’ambiente diventava sterile e garantiva alle derrate una lunga conservazione, secondo Varrone 50 anni per il grano. Il primo riferimento storico di Petramala lo troviamo In un diploma di Urbano II, stipulato in Castel Sant’Angelo (FG) del 1094, Achille ed Ottone Dattilo vennero insigniti del titolo di cavaliere di Cristo. Ottone Dattilo fu vicario generale di Ruggero I (Ruggero d’Altavilla). Dopo aver liberato la Calabria dai Bizantini Ruggero I fece un viaggio in Terra Santa. Ottone lo seguì in Terra Santa e come ricompensa ottenne da Ruggero i feudi di: Candida, Carcabottaccia, Rovere, Petramala, Consa, S. Teodoro, Belmonte, Santa Paola (Castiglione Morelli - De Patricia Consentina Nobilitate – Venetjis M.DCC.XII). Qui ci fermiamo perché dal XII sec. d.C. inizia il periodo feudale.

Fonti:

Alexander Kazhdam - Il contadino - capitolo secondo in L’uomo Bizantino. Francesco A. Cuteri - Il centro storico di Pietramala, analisi del costruito e delle evidenze rupestri. Eugenio Donato - 2006 - Il castello di Petramala (Cleto, CS): dall’insediamento bizantino all’incastellamento medievale. Stefania Aiello - 2010 - Il castello di Petramala, le ragioni di un restauro strutturale. V.A. Sirago - Puglia Romana. L. Arcifa - Facere fossa et victualia reponere. G. Giannuzzi Savelli - Aspetti storici della Calabria Citra dal feudalesimo al risorgimento. Carlo Ebanista - Università degli Studi del Molise - La conservazione del grano nel medioevo da La Civiltà del pane. G. Ravegnani - Soldati e guerre a Bisanzio. R. Arcuri- Rustici e rusticitas in Italia meridionale nel VI sec.d.C.

Valle del Torbido, gli uliveti e le antiche masserie

Cleto - uliveti

La parte più viva ed attiva del territorio di questo piccolo comune calabrese che non ha sbocco a mare quantunque sia così vicino ad esso e su di esso si affacci in modo mirabile, è costituita dall’ampia, ubertosa vallata del Fiume Torbido, che vi scorre quasi al centro e sulle cui morbide pendici si dispiegano le più qualificate colture agricole: uliveti sconfinati (pare che siano circa 130.000 le piante di ulivo presenti sul territorio comunale), vigneti (un tempo ancor più diffusi), inframezzati dai ruscelli che scendono verso il Torbido, dalle stradine interpoderali, dalle case sparse (molto belle le antiche masserie e la case padronali), da filari di pioppi che in autunno ingialliscono le loro foglie a forma di cuore e tremolano nel vento come fiammelle di candele.

I Sentieri sopra il Castello di Cleto

Alcuni sentieri sono vere e proprie mulattiere, mirabilmente gradinate nella roccia, e dimostrano quanto questi tragitti fossero un tempo trafficati: i pastori vi salivano con le greggi in cerca di pascoli freschi; i contadini li percorrevano all’alba per recarsi ai coltivi ricavati in luoghi impervi ed elevati ed al tramonto per rientrare al paese; carbonai e boscaioli li utilizzavano per attingere legname alle antiche selve di querce e di castagni (oggi stanno ricrescendo piccoli nuclei di roverelle e di sughere); qualchedun altro li attraversava per scambiare mercanzie con i paesi vicini.

Nei pressi di Cozzo della Neve, lungo l’antica, ormai perduta mulattiera, nel folto dell’innaturale ed oscuro rimboschimento di pini si celano i ruderi di un antico casale, mentre non lontana è ancora visibile la grande fossa di quella che probabilmente era una neviera.

Cleto piccoli canyon (Vallone San Giovanni/Rocaso)

Cleto - piccoli canyon

Ma non basta. Tra le pieghe dei monti, laddove le pendici si corrugano appena, una serie di piccole ma sorprendenti gole fluviali si dipanano come un ventaglio idrografico: Schiavone, Corvo, San Giovanni, Siccu. Questi alcuni dei loro nomi. I vecchi del paese ricordano ancora come da giovani li risalivano per curiosità e per gioco, intimoriti dalle sembianze mostruose delle rupi e dal buio dei meandri fluviali, da cascatelle che parevano enormi ai loro occhi, ma anche per accedere a fresche sorgenti o per rubare qualche frutto dai minuscoli orti ricavati su pendenze impossibili. Lo Schiavone, ad esempio, fende ripidamente la pendice a nord-ovest della rupe di Savuto, reso quasi impraticabile, ormai, dai fitti canneti, dai rovi, dai pioppi, dai salici e dagli ontani, che sono cresciuti ove un tempo erano coltivi letteralmente cesellati in piccoli terrazzi sulle pendici. Il San Giovanni, invece, parte proprio dall’abitato di Cleto e s’incunea verso il cuore dellemontagne come un budello di rocce ammantate di muschi e licheni, grondanti di capelvenere, impreziositi di acanti.

Francesco Bevilacqua

Avvocato, giornalista e scrittore ambientalista che da anni si è dedicato alla valorizzazione e alla tutela del patrimonio naturalistico della nostra regione.